Ebbene: cosa è accaduto, ad inizio settimana, all’ecosistema di Terra? «È successo – spiega Federico Izzi, coautore della newsletter W3B – che, probabilmente a seguito di una mossa speculativa, il meccanismo di correlazione inversa tra Luna e TerraUSD è saltato. Entrambi i due token sono andati all’ingiù, facendo cadere la stablecoin che ha perso il legame con il dollaro». L’evento, considerando che TerraUSD è una stablecoin importante, ha introdotto ulteriore incertezza sul mercato. «Il che, unito alla già persistente impostazione ribassista sul bitcoin, ha contribuito a fare calare le quotazioni di quest’ultimo».
Non solista. Va ricordato che la fondazione Terra, nel tentativo di fermare la discesa della sua stablecoin, ha venduto ingenti quantità di bitcoin. Un fattore che, di nuovo, ha aumentato la pressione ribassista sulla criptoregina. «A questo punto -conclude Izzi -, rispetto alle quotazioni del bitcoin, bisogna tenere in conto un altro aspetto». Vale un disastro? «Diverse società detentrici di bitcoin hanno, all’interno dei finanziamenti utilizzati per acquistare il criptoasset, delle clausole di garanzia legate al valore stesso della criptovaluta. Se quest’ultima scende al di sotto di determinate soglie ci potranno essere altre vendite che di nuovo schiacceranno il prezzo del bitcoin stesso».
Governance e rischio sulla criptoeconomia
Fin qua il caso specifico di TerraUSD. Al di là di esso, però, si pone un tema generale riguardo ai modelli di business e alla governance. In particolare – visto che l’ecosistema di Terra è legato ad un protocollo di Finanza Decentralizzata (DeFi) – alla stessa finanza decentralizzata. Su questo fronte il rischio è che le problematiche di piattaforme simili possano allargarsi ad altre aree del criptomondo, portandosi via anche le parti sane del medesimo. «Il rischio -spiega Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano – in effetti esiste. Tuttavia non bisogna fare di tutta un erba un fascio».
La DeFi, anche per la sua giovane storia, ha in vari casi dei protocolli non così solidi. «Strutture che non sono in grado di resistere all’evento anomalo. Si tratta di un tema tecnologico – aggiunge Portale- da tenere in considerazione». Inoltre, per la stessa natura della struttura che sfrutta contratti automatici e spinge con forza sulla decentralizzazione, la DeFi «non è facilmente riconducibile, a differenza di sistemi quali le piattaforme centralizzate di scambi, alle regole che via si vanno attuando a livello globale» . Una carenza normativa la quale, inevitabilmente, consente di fughe in avanti le quali possono creare rischi sistemici alla criptoeconomia.
Infine, seppure intrinsecamente legato al tema normativo, c’è anche la questione dei modelli di business. Esistono protocolli di DeFi che garantiscono ritorni molto, troppo, elevati sui depositi presso le piattaforme. Realtà di finanza decentralizzata che, nel momento in cui si verifica l’evento avverso, saltano per aria in un attimo (e con loro gli eventuali investimenti degli utenti). «È vero – riprende Portale -. E tuttavia, di nuovo, bisogna distinguere tra le singole storie aziendali e dei protocolli». Alla fine «è probabile che, tra 10 anni, da un lato molti degli attori attuali non ci saranno più; ma, dall’altro, la tecnologia sottostante, in particolare la blockchain, avrà comunque conquistato e rafforzato il suo ruolo».