Afferma in primo luogo che solo facendo di questa parte di città il fulcro di un vero e proprio sistema di riorganizzazione è possibile recuperare il potenziale architettonico e il contenuto spaziale dell’edificio.
In secondo luogo, egli esprime l’esito collettivo (frutto di altre iniziative, come ad esempio il concorso Pirelli per l’area Bicocca a Milano) di una riflessione sulla tipologia dell’edificio industriale, che da contenitore diventa “condensatore sociale”; in particolare, su quali sue parti possano diventare “città”; una riflessione progettuale che, stimolata dall’attuale problema della “dismissione”, scopre nuove potenzialità urbane in un patrimonio tutt’altro che trascurabile di esperienze del Movimento Moderno, lavorando per la prima volta direttamente su questi materiali come in questo caso dimostra la ricerca di Piano che comprende anche gli interessanti edifici razionalisti dei Mercati Generali realizzati nel 1932 da Umberto Cuzzi, oltre la ferrovia.
Un programma, infine, che afferma la necessità di utilizzare il “verde” non solo come elemento connettivo o come categoria meccanicamente elevata in termini ambientali, ma come un insieme di precisi elementi fisici considerati nel loro insieme: piante, filari e masse alberate e prati che tornano ad assumere pienamente il valore di elementi architettonici all’interno della definizione dell’intero progetto urbano.